Tutti i Palermitani, e dico tutti senza tema di smentita, si sono fermati almeno una volta alla Cala a gustare l’inimitabile “pani ca’ meusa”, con in sottofondo lo sfrigolio dello strutto a contatto delle interiora di vitello. Provate a fare mente locale...qual è la postura che “geneticamente” un Palermitano assume nella consumazione del “mezzopane”? Si sta in piedi, gambe appena divaricate per permettere alla testa di allungarsi e dunque rendere vano lo sforzo profuso dallo strutto gocciolante di sporcare i vestiti. Ah! Dimenticavo...non provate, a meno che non vogliate apparire ridicoli, a tradurre “pani ca’ meusa” in “pane con la milza”. La traduzione infatti non riesce a renderebbe perfettamente l’idea, infatti la materia prima non è costituita dalla sola milza ma dall’intero “campanaro”, ossia polmoni, trachea, bronchi ed appunto la milza.
Buon appetito!
L’origine di questa pietanza è antica.Nel quartiere ebraico del Seralcadio (nella piazzetta dei “caldumai”, che significa venditori di interiora) era ubicato il macello cittadino (fino al 1837). In questo macello veniva anche prodotta “a saimi” (lo strutto, dallo spagnolo “saim”) che veniva poi esportata in tutti i possedimenti spagnoli.Molti ebrei erano dediti all’arte della macellazione, il bestiame veniva abbattuto seguendo una certa ritualità alla presenza di rabbini o imam (se si trattava di musulmani). I macellai però non potevano ricevere un compenso per il loro mestiere (un po’ atroce), perché la loro religione lo vietava. Come ricompensa trattenevano per sé le interiora dell’animale, da cui potevano ricavare un guadagno.
Inventarono così una pietanza riservata ai cristiani, composta da frattaglie bollite, condite con ricotta o formaggio, unite al pane, da mangiare per strada con le mani (secondo un usanza trasmessa dai musulmani). Tutti così erano accontentati, c’era chi poteva guadagnare senza contravvenire alle proprie tradizioni e chi poteva mangiare un ottimo, nutriente ed economico panino (in tempi in cui era difficile per il popolo mangiare a base di carne).Dopo la scomparsa della comunità ebraica, la loro attività fu continuata dai locali “caciuttari” che già erano dediti alla vendita di un panino inzuppato nello strutto caldo e condito con ricotta e formaggio. I caciuttari (divenuti a questo punto meusari) acquistavano al macello le frattaglie, che prima bollite e poi soffritte nello strutto venivano aggiunte al loro panino con formaggio.Oggi il meusaro continua la propria attività tramandandosela di padre in figlio, è un mestiere remunerativo poiché anche se il costo di ogni panino è veramente basso (circa 1, 50 €), possono contare sulla quantità che a Palermo è assicurata.
I più famosi sono Ninu u ballarinu di corso Livuzza (Via Finocchiaro Aprile), i Basile della Vucciria, L’antica focacceria di Porta Carbone (alla Cala), Francu u Vastiddaru in corso Vittorio Emanuele (Piazza Marina) e la famosissima Antica Focacceria San Francesco (nell’omonima piazza).