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mercoledì 10 agosto 2011

UOMINI E TONNI

UNA CIVILTA' UNA CULTURA
"Aja mola Aya mola"


"La pesca dei tonni e dei pesci  lor soci è ricchezza in sostanza della Sicilia, sicché è una delle primarie aziende, che per sè conteggi il nostro paese..." (Marchese di Villabianca, 1720 - 1802)

RIPRESE DIRETTE DA UNA TONNARA a cura di Rai storia in un meraviglioso video di  Carlo Alberto Chiesa


 



Le origini  della pesca del tonno,  sono antichissime.
Testimonianze grafiche ci vengono dalle incisioni e dalle pitture rupestri presenti in alcune grotte dell'isola e risalenti al quaternario. In quell'epoca le tecniche di pesca erano rudimentali e probabilmente si limitavano ad atti per la deviazione dei branchi verso la costa dove con selci ed ossa appuntite fissate a lunghi bastoni venivano catturati. 
I Fenici avevano organizzato un centro marinaro di lavorazione del pesce a Cadice. 
I Greci tenevano delle vedette sugli scogli nel periodo del passaggio dei branchi, ed all'avvistamento scendevano in mare e qui una volta circondato il branco, calavano velocemente le reti dell'altezza di alcuni metri. 

E' agli Arabi , i quali perfezionarono e diffusero in Sicilia, ma anche in Africa e in Spagna il sistema delle reti fisse divise in camere e collocate in modo tale che il tonno fosse guidato attraverso le varie camere fino alla camera finale, che può farsi risalire la nascita della tonnara così come oggi la intendiamo. 

L’habitat naturale del tonno rosso si trova nelle fredde acque del Nord Atlantico, ma ogni anno, all’avvicinarsi della primavera, inizia un lungo viaggio che, attraverso lo Stretto di Gibilterra, lo porta nella calde acque del Mediterraneo per riprodursi. Il tonno compie questo viaggio ogni anno, spinto dal suo codice genetico, come succede per altri animali, ed il suo percorso è immutabile, segue rigorosamente una rotta da Ovest verso Est, nuotando vicino alla costa, come se ci vedesse solo dall’occhio sinistro e in questo modo arriva in Liguria, poi scende lungo la costa Occidentale della Sardegna, si spinge fino alle Baleari, arriva sulle coste della Sicilia e si spinge fino al Nord Africa e alla Turchia. Alla fine dell’estate il tonno compie il percorso inverso.

E' da quest'osservazione, da queste abitudini del tonno che nascono le tonnare.
Con il termine tonnara si intende tutto il complesso di attrezzature,strutture a terra ed a mare, che caratterizzavano tale attività'.La tonnara a sua volta si distingueva in tonnara di terra,l'area posta sull'arenile,e tonnara di mare ,costituita dal complesso di reti che creava la trappola nel mare per i tonni.La tonnara di terra,detta anche "malfaraggio",comprendeva sia le grosse strutture murarie,dove venivano custodite le barche e le reti,sia l'area esterna in cui si svolgevano tutte le operazioni legate alla preparazione della trappola.
Negli edifici vi erano zone destinate all'amministrazione,ai depositi della salagioni alle reti,alla pesatura,al lavaggio del pescato,al rimessaggio dei grossi barconi,le musicare; oltre alle camere dei loggiati,ai dormipoi per i pescatori e all'abitazione per la famiglia del rasi.Al piano superiore vi era l' l'appartamento gentilizio del nobile proprietario e della servitù'.In una casetta accanto era stabilito il fondaco,cioè' il luogo dove si depositava il sale necessario alle salagioni.
La tonnara di mare  è formata da una rete di sbarramento che va da terra verso il largo, chiamata “pedale” o “coda”, e da un’insieme di reti, chiamato “isola”, che formano diverse stanze dentro le quali passano i tonni, finché arrivano nell’ultima, la camera della morte.
Ogni anno "il Rais", nel luogo della "passa", nel periodo degli amori,  fissa gli assi fondamentali , il recinto, la porta , il centro. Lunghissime reti vengono fissate al fondo con un grande numero di ancore e ormeggi, a formare pareti (calatu), delle quali solo una linea sottile emerge dall'acqua (summu), e organizza le ciurme, decine di lavoranti per il breve periodo compreso tra il calo delle reti e la mattanza .


La mattanza (dallo spagnolo matar, uccidere) si svolge tra fine aprile e metà giugno e, pur nella sua finalità diretta a catturare i tonni da vendere sul mercato, riassume storicamente nella mente delle genti di Sicilia il valore simbolico dell'eterna lotta tra l'uomo e la natura.I tonni che sono stati guidati attrverso le varie camere,raggiungono la camera della morte;le imbarcazioni le "muciare",chiudono da ogni lato il quadrilatero e i tonnaroti issano la rete dove i tonni soffocano, storditi per la mancanza di spazio e di acqua. 
E' il momento della mattanza: I tonni man mano che gli viene a mancare l'acqua si dibattono, urtano violentemente  tra loro, si feriscono. Quando sono ormai sfiniti li aspettano i 'crocchi',gli uncini dei tonnarotti montati su delle aste, che servono per agganciare i pesci e issarli sulle barche, mentre l'acqua diventa rossa del loro sangue in un crescendo impressionante.

Le tonnare nel secolo XVI,nella provincia di Trapani arrivarono ad essere ben otto, Bonagia, Formica, Favignana, S.Giuliano, Cofano, S.Vito, S.Teodoro e Palazzo. Rappresentarono una delle attività' commerciali preminenti dell'economia siciliana e formarono degli ottimi "Rais" che andarono ad impiantare altre tonnare anche all'estero.

Purtroppo varie cause in questi ultimi tempi rendono difficile la vita delle tonnare; la pesca con tonnare volanti, la percorrenza degli aliscafi, l'elevato costo della manodopera, costi di ammortamento ed esercizio, minore numero e minore quintalaggio dei tonni pescati, rendono oltremodo difficile la gestione delle tonnare che gradualmente sono andate ad esaurirsi.
E’ questa storia antica che rischiamo di perdere.
Ormai è sempre più difficile ogni anno mettere insieme gli equipaggi, la tonnara non è molto remunerativa, L'allevamento in gabbie localizzate in prossimità dei tratti di mare in cui venivano calate le tradizionali tonnare rendono molto di piu'. Così oggi affacciandosi dal belvedere di Castellammare del Golfo, in prossimità del "Pedale" (il luogo cui si ancorava la tonnara di Castellammare), nella seconda metà dell'anno è possibile scorgere sul mare delle strane giostre galleggianti e delle barche di diversa grossezza con uomini al lavoro.

Si tratta di una "Tuna Farming", costituita da sei gabbie, di 50 metri di diametro e 30 di profondità che da maggio a dicembre ospita quasi cinquemila tonni, controllati ogni giorno dai sub che ne controllano il comportamento e l'eventuale insorgenza di anomalie.
La Tonnara era un cuore che nel pulsare scandiva i tempi del dialogo con il passato e il presente,con tutti coloro che avevano consegnato un'eredità di memorie, di idee, di soluzioni, di maniere ingegnose per fare dell'uomo, nella lotta contro i titani, un vincitore.











sabato 6 agosto 2011

LA SETTA DEI BEATI PAOLI

Nella Sicilia del XVIII secolo, schiacciata sotto il peso del malgoverno dei Viceré, il popolo per le strade vive nella miseria ed è costretto a sopportare soprusi di ogni sorta. Ma a Palermo, un tribunale segretissimo e terribile, agisce nell'ombra e nel mistero: la setta dei Beati Paoli.A loro ricorrevano gli oppressi e subito l'oppressore svaniva dalla faccia della terra...Benefattori per alcuni, criminali per altri, della setta ai giorni nostri è rimasto ancora vivo il ricordo tra i cunicoli della Palermo sotterranea...





La societa' segreta dei "Beati Paoli"nasce dallo strapotere e dai sopprusi dei nobili che,in virtu' del loro potere, amministravano nei loro feudi anche la giustizia criminale,ma sopprattutto sarebbe anche originata dalla carenza del braccio della giustizia amministrata dallo stato sempre al servizio dei potenti.

Di fronte a tale stato di cose,il popolo cercava di farsi giustizia con le proprie mani,non una giustizia individuale e quindi debole,ma amministrata da un organismo collettivo che agiva nell'ombra e con la massima segretezza.

LA PALERMO SETTECENTESCA
All'inizio del XVIII secolo,epoca in cui si svolgono i fatti,la citta' era ancora compresa entro la cinta muraria settecentesca che ne aveva bloccato ogni espansione.
La cinta muraria appariva ancora particolarmente munita;oltre ai due castelli ,quello superiore,il palazzo reale,abitato dal vicere' e quello inferiore detto "di mare",dieci possenti bastioni rafforzavano la cortina,e la loro difesa,in caso di attacchi esterni,era affidata alle maestranze cittadine.Altre fortificazioni erano costituite dalla Garitta posta all'imboccatura della Cala,dal forte del molo e dal fortino della lanterna che si trovavano nel molo nord.

I fortini di S.Erasmo,della Tonnarazza e del Sagramento,con le loro batterie poste a fior d'acqua,integravano le fortificazioni della costa,tra la citta' e la contrada di Romagnolo.

Le dodici porte che in quel tempo si aprivano lungo la cortina muraria permettevano ai cittadini di raggiungere facilmente le varie contrade rusticane dve,attorno ad antiche torri di campagna,si erano sviluppati bagli ed altre costruzioni per uso agricolo.     

venerdì 5 agosto 2011

L'OPERA DEI PUPI

L’ Opera dei Pupi è un particolare tipo di teatro delle marionette che si affermò stabilmente nell’Italia meridionale e soprattutto in Sicilia tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima metà del Novecento. 


I pupi siciliani dal latino “pupus”che significa,bambinello, sono le caratteristiche marionette armate del teatro epico popolare.
Essi si distinguono dalle altre marionette essenzialmente per la loro peculiare meccanica di manovra e per il repertorio, costituito quasi per intero da narrazioni cavalleresche derivate in gran parte da romanzi e poemi del ciclo carolingio,la chanson de geste che viene rievocata in maniera dinamica attraverso l’uso di una scenografia e di fondali dai colori vivaci. Appare, tuttavia, un richiamo alla più attuale tradizione boiardesca e di Ariosto per la dinamicità dei versi e la vitalità deipersonaggirappresentati.
I pupi a differenza delle marionette,non hanno fili;
i pupari con le aste  li muovono dall'alto  al ritmo degli scudi e delle spade,e  per fargli muovere la testa  e il braccio destro usano due aste di metallo.
Esistono in Sicilia due differenti tradizioni, o “stili”, dell’Opera dei Pupi: 
quella palermitana, affermatasi nella capitale e diffusa nella parte occidentale dell’isola, e quella catanese, affermatasi nella città etnea e diffusa, a grandi linee, nella parte orientale dell’isola ed anche in Calabria. 

Le due tradizioni differiscono per dimensioni e peso dei pupi, per alcuni aspetti della 
meccanica e del sistema di manovra, ma soprattutto per una diversa concezione teatrale e dello spettacolo, che ha fatto sì che nel catanese si affermasse un repertorio cavalleresco ben più ampio di quello palermitano e per molti aspetti diverso.

Il popolo, dunque, trovò i suoi eroi nell’Opera dei Pupi e nei racconti cavallereschi, questo spiega l’attenzione e la costanza con cui il pubblico seguiva, sera dopo sera, storie ed avventure che si protraevano anche per diversi mesi. 
La partecipazione del pubblico, alla rappresentazione, non era quindi passiva ma si spingeva fino al coinvolgimento emotivo: applaudendo i paladini e fischiando i i mori e a volte lanciando oggetti contro il palcoscenico o addirittura, in qualche caso, uno spettatore “esaltato” sparava, vere e proprie revolverate, contro il pupo “traditore”.


Il Repertorio Teatrale 
Tra le principali tematiche trattate dall'Opra occorre ricordare che quella prevalente è la trattazione di soggetti cavallereschi.  Le fonti principali per questo tema sono le Chanson De Geste e  il romanzo arturiano. Dalle Chansons de Geste deriva il Ciclo Carolingio che abbraccia un periodo storico che va dalla morte di Pipino il Breve a quella dell'Imperatore Carlo Magno. Il Ciclo di Carlo Magno prevede una sua particolare suddivisione: "La storia di Ettore e dei suoi discendenti", "I Reali di Francia da Costantino a Carlo Magno", "Storia dei Paladini di Francia, ”Guido Santo” e i discendenti di Carlo Magno. Questo ciclo, insieme a "La storia dell'Imperatore Trabazio" e "Il Guerin Meschino", sono stati rappresentati in tutta la Sicilia. 

Bisogna però attendere il 1858, quando l’intuito di un maestro elementare, tale Giusto Lodico, diede vita ad una poderosa opera in 4 volumi, intrecciando i vari poemi epico-cavallereschi del ‘400 e del ‘500, pubblicata in diverse edizioni, anche a dispense dal titolo “Storia dei Paladini di Francia”, che rappresenta tuttora il fondamento dell’opera dei pupi.
L’opera del Lo Dico è considerata la Bibbia degli opranti, essa è stata utilizzata come riferimento alla stesura delle sceneggiature utilizzate nelle rappresentazioni da tutti i pupari.

Descrivere la storia dei Paladini di Francia non è impresa facile poiché il più delle volte il mito supera la realtà e fa sì che avvenimenti storici, come l’episodio di Roncisvalle, perdano le loro connotazioni reali per sfociare nella leggenda.
Sostanzialmente la storia dei paladini di Francia narra le innumerevoli battaglie tra cristiani e mori nella Spagna dell’VIII secolo d.C. ed in particolare racconta della dolorosa sconfitta di Roncisvalle, in cui persero la vita, vittime di un’imboscata, le più valorose “spade” cristiane e fra tutte il prode Orlando ed il saggio Oliviero.

I Protagonisti: I Paladini
Il termine Paladino, dall’aggettivo latino palatinus (del palazzo), descrive ciascuno dei 12 Pari al servizio nell’esercito di Carlo Magno,  essi ricoprivano le cariche più alte dell’ordine militare e costituivano una sorta di guardia d’onore dell’Imperatore. I Paladini o Pari erano scelti personalmente da Carlo Magno e obbedivano solo al re, ciascuno dei Pari era un nobile, conte o duca, e doveva possedere particolari virtù: fede, lealtà, forza e sprezzo del pericolo.
Vi sono pareri discordanti circa i nomi dei 12 Pari, per alcuni testi essi erano: Orlando - Olivieri - Berengario - Ottone - Gerino - Ivo - Avorio - Genieri - Ansegi - Sansone - Gerardo - Engelieri
ORLANDO:è senza dubbio il protagonista indiscusso delle vicende dell'Opera dei pupi; egli è il più valoroso dei paladini di Carlo Magno, ed è un personaggio realmente esistito nel 700, le cui imprese eroiche sono cantate alla fine dell'XI secolo nella Chanson de Roland; caduto nella battaglia di Roncisvalle (778), questi divenne nelle chansons de geste il simbolo delle virtù eroiche e cortesi. 

Sulla scena egli è il più valoroso tra i cavalieri di Carlo Magno, a cui salva la vita, è dotato di grande coraggio ed è animato da sentimenti di grande fedeltà e lealtà nei confronti del suo re; tra i personaggi dell'Opera dei pupi è quello in cui maggiormente storia e leggenda si confondono.

Viene rappresentato con una colomba sul cimiero, sulla corazza e sullo scudo, porta  abiti e mantello rossi, la tipica faroncina, con delle calze lunghe a coscia.





CARLO MAGNO:  il potentissimo Imperatore di  Francia viene presentato in due versioni, la prima, da corte,  con  una  tunica  ricamata, una  ricca  corona  e un mantello di velluto; la seconda,  da battaglia che comprende  l’elmo  incoronato e  lo scudo esagonale  con  l’insegna  del  giglio di  Francia,  severo  il  volto, e scura  la barba.
Altre due figure che non potrebbero mancare e che ruotano costantemente attorno al protagonista, fungendo da corollario, sono ANGELICA:la donna saracena per cui lo stesso Orlando impazzisce d'amore perdendo il senno che soltanto sulla luna riuscirà a ritrovare.
RINALDO: cugino di Orlando, secondo cavaliere della corte di Carlo, dal carattere benevolmente ribelle, che lo ha reso particolarmente amato dal pubblico.
Viene rappresentato con il leone sul cimiero, sulla corazza e sullo scudo. I suoi abiti sono verdi.

Non possono certamente mancare, accanto ai personaggi che incarnano virtù quali il coraggio e l'onestà, altre figure - se vogliamo "negative" ma altrettanto indispensabili - che i paladini valorosi devono sconfiggere per riaffermare ogni volta la supremazia del bene sul male.  

Gano  di Magonza,  il traditore,  figura piccola  e goffa con grandi baffi,  lunga barba e degli sfregi in viso. Sullo scudo e sul petto ha incisa la M  dei Magonzesi, che il pubblico  interpretava  come malvagità e malizia e i guerrieri saraceni, dei quali si identificano i più importanti: Ferraù, Agramante, Marsilio, Agricane, Rodomonte, Mambrino, essi hanno come segno distintivo il volto scuro e truce ornato da baffi all’ingiù.              
I personaggi femminili si richiamano invece ad una visione bambolesca della donna, dal viso rotondo ed ingenuo,  dagli  occhi  vividi a da  lunghi capelli ricadenti sulle spalle; le  guerriere (BRADAMANTE)
invece, sono caratterizzate da armature ed armi con le insegne del  proprio casato. 
Particolare attenzione merita:DAMA ROVENZA,


regina di Soria, figlia del Barbassore della Montagna, oltre a combattere con un pesante martello d’acciaio, ha l’armatura incantata, e nessuno dei valorosi paladini di Carlo Magno riesce durante i combattimenti a sopraffarla.
Dama Rovenza di Soria assedia Parigi per vendicare Mambrino, ucciso da Rinaldo. Rovenza, armata di un temibile martello, è stata resa invulnerabile dal mago Tuttofuoco. Il negromante Malagigi, cugino e aiutante magico di Rinaldo, dopo una memorabile sfida infernale e grazie all’intervento dell’Onnipotente, trionfa su Tuttofuoco. Rinaldo, nonostante le trame di Gano di Magonza, giunge sotto Parigi ed affronta Rovenza, che è riuscita a stordire perfino Orlando. Malagigi rivela a Rinaldo l’unico punto vulnerabile della saracena e lo scaltro paladino riesce con uno stratagemma ad ucciderla e a salvare Parigi.

 

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