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lunedì 17 maggio 2010

L'Oreto perduto

“scorre a mezzogiorno del paese un grande e grosso fiume che si appella Wad ‘Abbas, sul quale sono piantati molti mulini, ma l’acqua di esso non si adopera all’irrigazione degli orti nè dei giardini...la maggior parte dei corsi d’acqua nei terreni sono utilizzati per l’irrigazione di giardini...e i frutteti sono situati a buona distanza dalle acque e non sono irrigati naturalmente, come avviene in Siria...numerosi corsi d’acqua scorrono da ovest ad est e dove l’acqua corrente è in grado di far girare un mulino e d’altronde in più punti vi sono mulini in attività. Lungo questi corsi d’acqua dalla fonte alla foce nel mare, si stendono acquitrini e terreni coperti da cespugli, dove cresce la canna di Persia, orti e campi che producono zucche...non si trova alcuna persona intelligente, abile né realmente competente in alcuna branca scientifica, né animata da sentimenti nobili e religiosi…”(Ibn Hawqal)Mercante e geografo persiano che visita Palermo nel 973

L’Oreto nasce tra Monte Matassaro, Renna e Cozzo Aglisotto, percorre per circa 19 km la Valle della Conca d’Oro; ha la sua foce tra il piccolo ex porticciolo di S. Erasmo e le discariche dei residui bellici. Di ciò che era splendido, resta ben poco. 
Per comprendere il valore storico e culturale della valle dell’Oreto dobbiamo sempre premettere che, pur essendo di ridotto sviluppo, essa costituiva una delle vie di penetrazione tra le più interessanti del territorio della Sicilia occidentale in quanto consentiva di collegare il golfo più importante dell’isola, quello di Palermo, sede, peraltro, di consistenti insediamenti umani fin dalla più remota preistoria, con le valli dello Jato e, attraverso questa con quella del Belice e, quindi, con il versante costiero meridionale. 

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